Sofonisba

by admin fsg

SIMONE CANTARINI
(Pesaro 1612 – Verona 1648)

Sofonisba

Olio su tela
49 x 64 cm
Eseguita nel 1637-39 ca.

Questo pregevole ritratto olio su tela raffigura la regina nordafricana Sofonisba, nell’atto di bere la coppa di veleno con cui si diede la morte, per non cadere prigioniera dell’esercito romano. Un episodio che cronologicamente si pone a margine delle guerre puniche e che fu molto enfatizzato dalla letteratura del Cinquecento, quale esempio di integrità morale e di coerenza. A lungo celato agli occhi del grande pubblico, questo dipinto è recentemente riemerso nel mercato antiquario con un’attribuzione generica alla Scuola Bolognese del Seicento a causa dello spesso strato di impurità in superficie che ne rendeva difficoltosa la lettura. Il conseguente intervento di pulitura ha rivelato una qualità pittorica tale da attribuirne con certezza la paternità a Simone Cantarini, detto il Pesarese. Nato nel 1612, questo artista si affermò in giovane età nella nativa Pesaro, dove ricevette importanti committenze dalle più ricche famiglie della città. Una fama che ben presto oltrepassò quei confini, portandolo nel 1635, a soli 23 anni, in quella che allora era la seconda città più importante dello Stato Pontificio: Bologna. All’ombra delle due torri, grazie alla fama guadagnata in patria, il Cantarini riuscì ad entrare nella prestigiosa bottega di Guido Reni, con il quale strinse un profondo legame di amicizia. Il biografo bolognese Carlo Cesare Malvasia parla addirittura di “allievo prediletto” del maestro, in un periodo in cui la concorrenza fra i vari seguaci era molto serrata. A testimonianza di quanto fosse forte il legame fra i due, al giovane pittore fu concesso di realizzare quello che divenne il più celebre ritratto del Reni, oggi conservato nella Pinacoteca Nazionale di Bologna. Ed è proprio durante la permanenza presso quella bottega, protrattasi fino al 1639 che si deve far risalire la realizzazione di questa “Sofonisba”. Si tratta infatti di una composizione realizzata anche da altri allievi del Reni, come il fiammingo Michele Desubleo, la cui versione è recentemente riemersa. Lo stesso è accaduto per la versione dipinta da Giovanni Andrea Sirani, riaffiorata a Londra nel 2005. Si può desumere che questo soggetto rappresentasse una composizione particolarmente popolare e funzionale a livello commerciale, considerate anche le dimensioni contenute delle varie versioni riscoperte. Notizie più precise a riguardo sono state riportate in alcuni inventari di importanti famiglie bolognesi del XVII secolo e in particolare quella del collezionista Cesare Locatelli. In questa raccolta si indica infatti la presenza di ben cinque versioni di questa composizione, che erano conosciute nel Seicento (Collezioni e quadrerie nella Bologna del Seicento. Inventari dal 1640 al 1707, a cura di Anna Cera Sones e Raffaella Morselli, Bologna, 1998, pag. 277). Un soggetto riportato in quegli elenchi come “Circe” o “Donna vestita all’orientale con una conchiglia”, dove si afferma che ben due di queste cinque versioni erano opere autografe di Simone Cantarini, e più precisamente quella attualmente conservata nella City Art Gallery di Bristol (Inghilterra), e un’altra che viene indicata come parte di una collezione privata pesarese. Quest’ultimo è il dipinto oggi appartenente alla Fondazione Sorgente Group. A ulteriore conferma dell’importanza che questo soggetto ebbe all’interno della collezione di Locatelli, viene indicata la presenza di una terza versione, che differiva dalle altre solamente per qualche variazione stilistica nell’abito e nel turbante, descritta come opera di Cesare Gennari, allievo del Guercino. Questi ritratti femminili rimasero in quella collezione fino al 1693 e successivamente venduti: è assai probabile che una delle versioni della Sofonisba fosse passata al conte Paolo Zani, sempre a Bologna, secondo quanto riportato a margine di un’incisione dell’artista lombardo Giacomo Gallinari, che riprende fedelmente la nostra Sofonisba, indicandola come derivata “da Cantarini”. Il restauro alla quale si accennava a inizio scheda si è rivelato di importanza fondamentale ai fini dell’attribuzione. Rimuovendo la pesante patina di ossida- zione formatasi negli anni è emersa una colorazione di base più chiara e perlacea, decisamente più in linea con le tonalità morbide e pastellate che il Reni utilizzava negli anni Trenta del Seicento: un marchio inconfondibile della sua pittura, che il maestro pretendeva che venisse utilizzato anche dai suoi allievi.