Santa Cecilia con l’organo portatile, un’altra Santa e un putto

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GIUSEPPE CESARI, DETTO IL CAVALIER D’ARPINO
(Arpino 1568 – Roma 1640)

Santa Cecilia con l’organo portatile, un’altra Santa e un putto

Olio su tela
136 x 98,5 cm
Eseguito nel 1630 ca.

Martire a Roma nel II sec. sotto l’imperatore Marco Aurelio (161-180 d.C.), Cecilia fu sepolta nelle catacombe di San Callisto. Nel 821 le sue spoglie furono spostate nella chiesa a lei dedicata in Trastevere per ordine di Papa Pasquale I, dove sono ancora conservate e venerate. La Santa qui rappresentata, vestita di una tunica gialla e un mantello blu, si rivolge a una donna che le sta accanto, di incerta identificazione. Herwarth Röettgen, massimo studioso di questo artista, ipotizza che si possa trattare di Agnese o Agata, menzionate assieme a Cecilia nel canone della messa. Alla scena prende parte anche un piccolo putto alato, che sembra rivolgersi direttamente allo spettatore, rendendolo partecipe del momento.

Il dipinto è datato dal Röettgen verso il 1630, ed è confrontabile con la “Maria Salomè” nell’omonima chiesa di Veroli. Lo studioso tedesco, proprio a proposito della “Maria Salomè”, parla di una produzione da parte del Cavalier d’Arpino di opere di “gelido rigore”, che ben si adatterebbero anche a questa Santa Cecilia: “accordi cromatici pacatissimi ma efficaci […], soprattutto il grigio-azzurro e il giallo oro stesi sulle superfici lisce delle vesti orlate e dalle pieghe ben delineate, spingono l’occhio a indugiare in una contemplazione infinitamente tranquilla” (H. Röttgen, Il Cavalier Giuseppe Cesari d’Arpino. Un grande pittore nello splendore della fama e nell’incoscienza della fortuna, Roma 2002, fig. 231, pag. 455).

Il buono stato di conservazione consente di apprezzare appieno la delicatezza dei passaggi tonali specialmente negli abiti della santa, rifiniti con sintetiche velature di lacca applicate sul giallo vivo. Ed è forse l’adesione del pittore, nel suo periodo più tardo, ai dettami ideologici e formali decisi dal Concilio di Trento a spiegare la tenerezza e l’espressione della Santa, la cui mano dalle dita lunghissime pare cercare la tastiera dell’organo mentre il suo sguardo sembra attendere l’ispirazione divina. Un’immagine affine, come afferma il Röettgen, al cristianesimo più antico e primordiale.