Fortuna e Amore

by admin fsg

GIOVANNI ANDREA SIRANI
(Bologna 1610-1670)

ELISABETTA SIRANI
(Bologna 1638-1665) 

Fortuna e Amore

Olio su tela
161 x 131 cm
Eseguito nel 1660 ca.

Questa composizione di carattere allegorico e fortemente evocativa ritrae una figura femminile nuda che fluttua leggera sopra un globo celeste, trattenuta per i capelli da un puttino alato. Si tratta di un’invenzione di Guido Reni, risalente probabilmente al 1623, anno del primo prototipo compositivo per un’opera destinata a un’importante commissione. Siamo nel pieno della maturità artistica di questo grande maestro bolognese vissuto a cavallo fra XVI e XVII secolo e fra i massimi esponenti del Barocco italiano.

Nel dipingere questo seducente soggetto, divenuto uno dei più iconici della sua produzione, il Reni fu mosso dall’idea di personificare la sua passione per il gioco d’azzardo, un vizio che ne dominò la vita fin dalla gioventù e che lo portò a vivere diverse situazioni disagevoli.

Si tratta infatti di una metafora della Fortuna, raffigurata come una giovane donna che si muove leggiadra sopra una sfera celeste (il mondo), sulla quale lascia cadere i suoi generosi doni, rappresentati dalla borsa piena di monete; sulla destra un amorino la trattiene per la chioma, impedendole così di volare altrove.

Una composizione estremamente ricercata, destinata ad un pubblico colto che Reni concepì rifacendosi probabilmente a informazioni tratte da “L’iconologia”, un saggio realizzato dal perugino Cesare Ripa, pubblicato proprio in quegli anni. È di fatto il primo trattato completo sulla rappresentazione delle figure allegoriche nell’arte, così come venivano immaginate dalla tradizione: uno studio sulle personificazioni e sui loro attributi fisici e gestualità che dovevano essere immediatamente riconducibili al concetto rap- presentato. Se il piccolo putto alato è universalmente associato alla figura di Amore, l’allegoria della Fortuna subì invece diversi sviluppi lungo la storia, che ne variarono continuamente l’immagine. Essendo una delle figure più diffuse, mantenne tuttavia alcuni attributi imprescindibili, presenti anche in questa. Innanzi tutto la nudità: essa infatti non indossando alcun abito, non è associabile né alla ricchezza, né alla povertà e quindi non favorisce in base alla scala sociale. Altro elemento imprescindibile è la borsa dalla quale cadono delle monete (a volte sostituita da una cornucopia traboccante di beni e frutti) a significare i doni goduti da chi ne viene favorito, così come lo è il globo sopra il quale la Fortuna si sposta. Secondo il Ripa la sfera rappresenta il perenne moto che caratterizza questa dea, mutando faccia a ciascuno, alternando favori ad avversità, ma sta a significare anche il mondo, sopra il quale la Fortuna esercita il suo potere. La piccola verga che regge in mano invece deriva da una variazione iconografica sul tema, apportata del pittore cinquecentesco Dono Doni, che la rappresentò come una donna sospesa sopra un albero, a cui batteva i rami con un bastone, facendo cadere a terra i doni da elargire. Questa allegoria divenne così popolare per il suo carattere benaugurante da convincere il Reni a replicarla più volte e ad oggi si conoscono tre versioni riconducibili interamente a lui: una conservata ai Musei Vaticani, un’altra all’Accademia di San Luca a Roma (con la variante della corona al posto della borsa) e infine un’ultima in collezione privata.

L’immagine ebbe un tale successo commerciale che venne sfruttata anche dai numerosi allievi che frequentavano la sua bottega. Uno di questi, Giovanni Andrea Sirani, fra i più vicini al maestro, è l’autore del dipinto oggetto di questa scheda, con l’assistenza della figlia Elisabetta.

L’opera presenta tonalità diverse da quelle utilizzate precedentemente dal Reni, tendenti a una tavolozza meno brillante e più pacata, seppur il disegno di base sia di altissima qualità, simile a quello del maestro. Uno stile sempre più libero dall’influenza carraccesca oramai esauritasi, ma più intriso di spirito barocco. Questi elementi rivelano una realizzazione più tarda, ascrivibile al 1660 come dimostra la figura del Cupido dipinta da Elisabetta Sirani, eseguita con uno stile già maturo e consolidato da anni di esperienza nella realizzazione di puttini e amorini, uno dei soggetti che la resero celebre e affermata nonostante la giovane età. Un soggetto caro anche al Reni, a cui Elisabetta molto probabilmente si ispirò, seppur indirettamente, in quanto non ebbe mai modo di conoscerlo, perché egli morì quando lei era ancora una bambina.