Statua di Ercole con Cerbero
Marmo bianco
Alt. 64 cm
Metà II d.C.
Scultura di Ercole stante di notevole interesse non solo per le dimensioni e la sostanziale integrità dell’opera, ma anche quale ulteriore testimonianza iconografica dell’importanza che ebbe il culto di Ercole nella metà del II secolo d.C.
Il dio, in nudità eroica, secondo il sistema antitetico lisippeo gravita sulla gamba sinistra con leggero ancheggiamento, mentre il lato destro, con la gamba leggermente flessa e scartata in avanti lateralmente, è maggiormente rilassato e verso questo lato si volge il capo e lo sguardo. Del braccio destro si conserva solo parte della spalla mentre del sinistro rimane il braccio che doveva risultare flesso in avanti a sostenere la leontea (la parte superiore è di restauro). Essa scende coprendo gran parte del sostegno laterale, si ripiega sull’avambraccio sinistro e cade in avanti con le zampe anteriori della fiera fino al ginocchio del dio e il muso subito sopra, così come in molte sculture di scuola lisippea. Ai suoi piedi vi è Cerbero, il cane a tre teste guardiano degli Inferi che Ercole riuscì a portare vivo a Micene durante la sua ultima fatica nell’ordine descritto dallo Pseudo-Apollodoro, mentre l’uccisione del Leone di Nemea sarebbe stata la sua prima impresa.
Quindi, nella nostra scultura sono riassunte tutte e dodici le imprese sintetizzate in un’unica immagine. Da notare accanto al piede destro la presenza di un plinto a forma di piccolo tronco, che ci può aiutare a ricostruire l’intera figura nella parte destra mancante. Infatti, evidente è l’identità iconografica complessiva con l’immagine di Ercole utilizzata per il culto della divinità nel II secolo a.C. e presente sull’Aventino. Qui, esattamente tra le chiese di Sant’Alessio e di Santa Sabina, all’angolo di via di San Domenico, nel 1935 furono rinvenuti i resti di un santuario dedicato a Giove Dolicheno (interrato dopo gli scavi e non più visibile), attribuito all’età di Antonino Pio, al cui culto era associato quello di Ercole. Il culto di Jupiter Dolichenus, il dio di Doliché nella Commagene (attuale Turchia) venne introdotto dopo l’annessione della Siria a opera di Vespasiano (71 d.C.). Forse simile all’Hadad di Heliopolis e al Malakbel palmireno, veniva raffigurato con l’abito tipico dei militari romani, con il berretto frigio, la bipenne e il fulmine nelle mani, posto in piedi su un toro tra le cui zampe vi era un’aquila. A Roma il suo culto incontrò un largo favore e venne associato a quello di Giove Ottimo Massimo con un’accezione essenzialmente militare; e il suo culto fu ampiamente diffuso proprio dai soldati grazie ai loro numerosi spostamenti. Il culto è documentato soprattutto dall’età degli Antonini, quando i mercanti siriaci di granaglie erigono il santuario sull’Esquilino e il Dolocenum sull’Aventino.
Proprio in quest’ultimo si sono trovate alcune sculture e are che dimostrano la connessione di Ercole con il culto di Giove Dolicheno, e la venerazione dei devoti ad entrambe le divinità. Lo stesso Commodo, particolarmente devoto a Giove Dolicheno amava identificarsi con Ercole. L’identità tra la nostra scultura di Ercole e quella rinvenuta nel Dolocenum dell’Aventino è evidente, sebbene siano tra loro speculari e quindi lo sguardo sia volto non verso la clava, ma verso la leontea; inoltre, vi è l’aggiunta di Cerbero. Anche l’Ercole della Fondazione doveva tenere nel braccio destro mancante la clava, che si appoggiava sul piccolo supporto in basso conservato. Questa iconografia è testimoniata anche sui rilievi e sulla monetazione di età severiana. La medesima immagine di Ercole si ritrova nell’architrave dell’Arco degli Argentari, sull’angolo Nord- Ovest, proprio rivolto verso il Tempio della Concordia e verso una statua di Commodo nelle vesti di un Ercole, posta dinanzi al Senato, con una chiara funzione propagandistica. Inoltre, va ulteriormente precisato che l’Ercole nell’iconografia dell’esemplare della Fondazione e in quella adottata in età severiana, è portatore di significati militari e dinastici. L’aspetto militare è volto in chiave non bellicosa, ma di difesa della pace divenendo così un Hercules Defensor, e non più Hercules Invictus, come lo era stato per i predecessori di Settimio Severo. Sui denari del 197 d.C. e poi anche sugli aurei, l’Ercole con questa iconografia viene raffigurato da solo con la legenda “Herculi defensori”. Tale aspetto è evidente in modo particolare nella monetazione già all’inizio del 194 d.C. pochi mesi dopo l’ingresso di Settimio Severo a Roma e così Eracle assume la funzione di patrono dinastico. Vediamo così nelle coniazioni di Settimio Severo sul rovescio di medaglioni, di aurei, sesterzi ed assi, la presenza dell’Ercole nella nostra iconografia ripetersi, affiancandosi alla figura di Liber Pater. Entrambi stanti sono uniti dalla leggenda “dis auspicibus”: esplicitamente indicati quali fautori e legittimatori del principato severiano. Ercole e Libero non erano più soltanto gli dèi patri di Leptis Magna, città natale di Settimio Severo (Shadrapa = Liber Pater e Milk’Ashtart = Ercole), ma ormai erano strettamente connessi all’Urbs, all’Impero e soprattutto alla dinastia imperiale. La ripresa della figura di Ercole rimanda palesemente agli Antonini e in particolare al Divus frater Commodo e l’associazione con Libero assunse una valenza dinastica, non solo come protettori della domus Augusta, ma anche come garanti della sua continuità: l’insistenza sugli dèi fratelli costituiva di fatto l’annuncio della nuova generazione rappresentata dai giovani Caracalla e Geta, così come sarà documentato sulle raffigurazioni scultoree. Speranza infranta poi nel 212 d.C. quando Caracalla diverrà l’unico Augusto, dopo l’eliminazione del fratello, e Ercole tornerà ad occupare da solo il campo monetale. Da sottolineare ancora che la ponderazione lisippea è presente nell’esemplare della Fondazione, così come nell’Ercole del Dolocenum sull’Aventino e del rilievo sull’angolo Nord Ovest dell’Arco degli Argentari, seppur con l’inversione speculare degli arti. Quindi il nostro esemplare, per l’iconografia che lo caratterizza, rientra pienamente nel culto particolare che ricevette Ercole a partire dagli Antonini, per poi rafforzarsi e ampliarsi di significato con la dinastia dei Severi.